La cefalea nelle sue varie forme (in primo luogo emicrania, cefalea tensiva e cefalea a grappolo) interessa in modo ricorrente ben due milioni di italiani. Colpisce di più il sesso femminile e ha un picco di incidenza tra i 25 e i 50 anni.
Molte persone perseguitate dal mal di testa si accorgono da sole di trovare sollievo nella limitazione di alcuni cibi, ma, se si sottopongono a un test per le allergie, i risultati in genere sono negativi.
Accanto alle allergie, che sono mediate dal coinvolgimento di anticorpi quali le immunoglobuline E, esistono tuttavia fenomeni di ipersensibilità alimentare differenti e che i test tradizionali non rilevano. Perché il cibo è davvero in grado di scatenare reazioni infiammatorie, sostenendo disturbi estremamente eterogenei, tra cui il mal di testa, che costituisce in questi casi il segnale, inviato dal corpo, che "la misura è colma", che la capacità di compensazione dell'organismo è stata oltrepassata e che è arrivato il momento di introdurre qualche correttivo nella dieta.
Un intervento causalista, che spenga la miccia che fa esplodere emicrania e altre cefalee, passa allora attraverso il contenimento dell'infiammazione da cibo.
Ma quando sospettare che il mal di testa possa nascondere un'intolleranza alimentare? Se gli specialisti consultati hanno escluso una causa organica o comunque specifica all'origine della cefalea e l'unica prospettiva sono gli antidolorifici a vita, ha senso verificare con un test per le intolleranze quale ruolo possa giocare l'alimentazione.
In caso di ipersensibilità alimentari la strategia non deve comunque essere l'eliminazione degli alimenti risultati positivi al test per le intolleranze, bensì l'impostazione di un piano individualizzato di rotazione infrasettimanale dei cibi, che tolga "carburante" ai fenomeni infiammatori e, attraverso la reintroduzione graduale degli alimenti critici, riabitui l'organismo a considerare questi stessi alimenti come "amici", consentendogli di recuperare la tolleranza perduta.
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